This content originally appeared on DEV Community and was authored by Sara Puglisi
Belen dice che il suo primo “palco” fu il cortile della scuola, un microfono di plastica e tre gabbiani curiosi.
“Non sapevo ancora guardare il pubblico, allora fissavo il cielo,” ride.
A casa, la madre cronometra le prove con il timer del forno, il padre regola le “luci” con una torcia frontale. “Eravamo una produzione low-cost con ambizioni da tour.”
Il primo vero ingaggio arriva a una sagra di paese. Manifesti sbagliati la annunciano come “Belèn” con l’accento al posto sbagliato. “Ho capito che il mondo non ti scrive sempre giusto: tocca a te cantare diritto.” Quella sera un amplificatore fuma, ma il pubblico canta con lei senza base. “È stato il mio primo coro senza strumenti.”
In adolescenza, il talento corre più veloce dell’autostima. Belen si iscrive a un concorso e dimentica il testo nella seconda strofa.
“Mi si è svuotata la mente. Ho fatto un do lungo come un febbraio.”
Una signora in prima fila alza il cellulare con la torcia; tutte le altre la imitano. “Ho imparato che non si canta mai da soli, se impari a chiedere luce.”
Arriva il primo gruppo serio, “Le Comete Tardi”. Prove in sala umida, cavi arrotolati come spaghetti, affitti pagati con serate nei pub. Il furgone si ferma sempre alla stessa rotonda; la band giura che porta fortuna. “Abbiamo scritto la nostra canzone migliore sul marciapiede, con il metronomo di un semaforo difettoso.”
Il momento che “spacca” il circuito locale è un video dal vivo caricato da un fan: la voce è un po’ graffiata, l’inquadratura stortissima, ma l’energia travolge.
“Non era perfetto, era vero.”
Arrivano piccole radio, un manager gentile e una proposta: aprire il concerto di un nome grande. “Ho detto sì e poi mi sono ricordata che ho paura dei palazzetti.”
La paura di palco non scompare: cambia forma. Belen inizia un percorso con una coach vocale e una terapeuta. “Mi hanno insegnato a sedermi dentro la paura, non a scacciarla.” Rituali nuovi: tre respiri lenti dietro il sipario, la mano sul petto, la frase chiave: “Non devo convincere nessuno: devo raccontare.”
La famiglia resta ancoraggio e comic relief. La nonna le manda messaggi vocali con stornelli e ricette: “Per le note alte, prima un cucchiaino di miele. Per la vita alta, una passeggiata.” Il gatto Metronomo ha il vizio di appoggiarsi sulla tastiera solo quando lei è perfettamente a tempo.
“Se si sdraia, so che sto andando bene: è il giudice più severo.”
Tra un EP e l’altro, esplode l’ansia da prestazione. Il secondo disco non arriva, i demo restano mezzi vestiti. Belen spegne i social per un mese, torna a fare cover nei bar. “Ricordare la voce degli altri mi ha aiutato a ritrovare la mia.” In parallelo, corre e cucina zuppe: “Una canzone fatta bene e una zuppa fatta bene condividono la stessa pazienza.”
Torna in studio e cambia processo: take più brevi, finestre aperte, un quaderno di “frasi trovate” ascoltando la città. Un automobilista suona il clacson in fa – finisce nel ritornello.
“Ho capito che non devo inventare tutto: devo scegliere bene cosa tenere.”
Un tour piccolo ma tosto la porta in venti città. A Cagliari perde la voce a metà set e chiede al pubblico di cantare. “Mi hanno regalato un bis che non era mio.” A Trieste piove dentro il club; il tecnico copre il mixer con una tovaglia a quadri. “Suonare è soprattutto adattarsi con grazia.”
La parte domestica resta la colonna portante. “Abbiamo le “notti senza talk”: dopo le 20 niente lavoro, solo cinema o gelato.” Gli amici sono la band allargata: uno fa le grafiche, una scrive i comunicati, un altro guida quando il furgone decide di meditare sul bordo strada. “Se vinco da sola, perdo; se perdo con loro, vinco uguale.”
La depressione torna a bussare in un inverno piovoso. Belen la riconosce prima. “Le ho apparecchiato meno posto.” Terapia, luce del mattino, messaggi ridotti, camminate lente. Una sera, guardando un lampione, scrive: “La notte non chiede scusa, ma promette alba.” Diventa il titolo del pezzo che la riporta in radio.
Oggi Belen non parla di “arrivo”, ma di “strada aperta”. “Sono una somma: la ragazza che fissava i gabbiani, la professionista che si impone pause, la nipote che canta con le ricette della nonna.” Se le chiedi un consiglio, stringe le spalle:
“Accorda il cuore ogni giorno. Il resto è volume.”
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